manifesto Il manifesto 21 Febbraio 1996

Elio, che pizza il trash


Una volta si chiamava "demenziale". Adesso è semplicemente "trash". Roberto D'Agostino e Tommaso Labranca, Bonito Oliva e gli art director lo teorizzano spesso e volentieri. Meglio prima o meglio adesso? Fate voi. A mo' di dichiarazione di intenti Elio e le Storie Tese hanno pronunciato per primi la magica parola lunedì scorso, di fronte a nove milioni di spettatori: "Il Festival è il massimo evento trash del paese".

Sul piano estetico, certamente, Elio e i suoi possono vantare un diritto di prelazione su questa roba. Loro hanno cantato "Il pippero" e riesumato geni dei Seventies quando gli art director nemmeno ci pensavano. Sono gli autori delle sigle di "Mai dire gol", piccoli capolavori di televisione. Al Festival di Sanremo hanno dedicato gustosissimi interventi (un lontano e indimenticabile "Controfestival"). Scuola milanese post-anni Ottanta, la loro. Comicità paradossale e spiazzante, alla Gialappa's Band. Serissima però, sottolineata sempre dal trucchetto di non ridere mai alle proprie battute. Spiega Elio: "Siamo sempre stati seri... Quando c'è da picchiare, lasciaci stare". Altre battute sparse: "Per solidarietà alla compagna Ferilli - spiega Rocco Tanica - abbiamo appeso nella nostra stanza un quadro di Gianandrea Matteotti". Elio: "La nostra canzone preferita del festival è la musichetta dell'Acqua San Benedetto. Resiste da quattro anni". Quest'anno, a sorpresa, si sono buttati nella mischia con "La terra dei cachi". Categoria possibile: grandi vendicatori annunciati. La canzone sono cinque in una: introduzione strappacore in gergo sanremese; romanza lirica; passaggio simil-country alla Barbarossa; esplosione disco-trash tipo "Il triangolo" di Renato Zero; finale charleston, a tradimento. Ritornelli sociologicamente correttissimi: "Italia sì, Italia no, Italia bum la strage impunita". Più avanti: "Italia sì Italia no Italia gnamme, se famo du spaghi". E nel finale, il premio Calembour '96: "Una pizza in due, una pizza da solo; in totale molto pizzo, ma l'Italia non ci sta".

Operazione sofisticatissima, come si vede. Anche in tv. Non fosse per l'improvviso velo di nostalgia al quale Elio, durante una conferenza stampa, si abbandona: "Il festival è un po' in calo - dice - Grandi festival erano quelli presentati da Fenech-Occhipinti e dai figli d'arte". Tanto di cappello. I trashisti non li scorderanno mai più. E' nel segno di questa nostalgia canaglia che ci si chiede sommessamente che senso ha il fatto che i cultori del trash si sostituiscano ai naturali produttori di trash. Che Elio, per dire, abbia preso il posto di Mino Reitano. Insomma, c'è davvero spazio per il trash nel varietà baudesco, così ingessato e controllato? Temiamo di no. E speriamo che Elio non debba pentirsi troppo di essere venuto fin quassù a fare il trash. Trash si nasce, non si diventa.